In un Paese dove il costo della vita continua a salire e l’inflazione non ha ancora smesso di mordere, il nuovo dato diffuso dall’Istat pesa come un macigno: a settembre 2025, le retribuzioni contrattuali in termini reali in Italia restano inferiori dell’8,8% rispetto ai livelli di gennaio 2021. Un arretramento che fotografa il disagio salariale accumulato negli ultimi anni, nonostante la crescita nominale delle buste paga. È il segnale che il recupero dei salari non è riuscito a compensare pienamente l’aumento dei prezzi e che il potere d’acquisto degli italiani resta schiacciato.
Nel terzo trimestre del 2025 la crescita delle retribuzioni ha rallentato, dopo i segnali più vivaci dei mesi precedenti. Resta comunque appena sopra l’inflazione, ma la spinta si è affievolita. Come rileva l’Istituto, a settembre l’indice delle retribuzioni orarie è rimasto fermo rispetto ad agosto e in aumento del 2,6% su base annua. Nel pubblico impiego gli incrementi sono stati un po’ più generosi (+3,3%) rispetto all’industria (+2,3%) e ai servizi privati (+2,4%), anche per effetto del pagamento delle indennità di vacanza contrattuale. Nel complesso, però, la sensazione è quella di un passo corto: i salari crescono, ma non abbastanza da recuperare davvero il terreno perduto.


