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Il globalismo? Riposi in pace. Amen.

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Ne hanno già ampiamente parlato i nostri colleghi redattori negli articoli di oggi e del 3 aprile, e non ci torneremo, almeno sulle implicazioni economiche e i tecnicismi dei dazi decisi da Trump.
Qualcuno, nell’isteria generale, ha simpaticamente commentato il periodo con un efficace
"Dazi amari"
Già, ma amari per chi? Visti gli andamenti negativi delle Borse mondiali, diremmo che la finanza soffre. Ma gli scambi vanno e vengono, e quando si parla di perdite e di soldi "bruciati", ci viene anche un po’ da sorridere perché
I miliardi «bruciati» non si sono dissolti, perché sui mercati finanziari a fronte di chi perde c’è in genere qualcuno che ci guadagna.
Il calo degli indici di borsa dipende da meccanismi di domanda e offerta, che determinano il prezzo a cui sono venduti i titoli.
Quando i giornali scrivono che le borse «hanno bruciato» miliardi, indicano proprio questo: che il valore della capitalizzazione è sceso.
Ma non ci sono soldi che vengono distrutti o bruciati.*
Precisato e messo da parte l’argomento cardine su cui si stanno scarapicollando in improbabili analisi economiche la maggior parte (anzi, tutti) i media allineati, passiamo al vero punto centrale di questo momento.
Definirlo storico, è doveroso. La nostra classe politica ne ha passati, almeno nei proclami degli anni scorsi, di "momenti storici". Ovviamente, nulla di sensazionale, solo piccola propaganda.
Anche Trump fa propaganda, è un "commerciale", per la precisione, come si direbbe in gergo aziendale. E quindi fa una serie di mosse a sensazione, l’ultima delle quali però, a differenza di quello che dice e non fa tutta la classe politica occidentale, porta con sé delle implicazioni davvero storiche.
Perché ci hanno frantumato le sinapsi per almeno quarant’anni, con la storia del mondo senza confini, con la bellezza e la convenienza di chiudere le fabbriche qua per riaprirle in uno sperduto paese ai confini del Bangladesh, con la doverosa necessità di abbattere il mercato interno, perché nessuno ha riflettuto sul fatto che il lavoratore (se lavora) è anche un consumatore, e se licenzi impoverisci il tuo mercato. Ah già, ma l’obiettivo era esattamente quello, vedere alla voce Monti:
in realtà stiamo distruggendo la domanda interna tramite il consolidamento fiscale"**
E dunque, il globalismo chiama, l’Italia ha risposto, e per decenni. Com’è stato bello produrre dalla Turchia in là, verso est, e com’è bello vendere il Fatto in Italia al di là dell’Oceano. Com’è stato indispensabile, soprattutto, assecondare i sogni di gloria della Germania, con il suo surplus über alles, che delle regole europee chi se ne frega tanto le facciamo e le disfiamo noi.
Ma non ha risposto solo l’Italia, ma soprattutto anche gli USA, smantellando l a propria industria manifatturiera e mettendola nella mani della ben più economica (grazie agli aiuti di Stato), Cina. Marchio americano, manifattura cinese. Tutto normale, no?
Ma il redde rationem arriva per tutti.
La finanza dei grandi capitali, quella che non si sporca mai le mani, ci ha ben campato su questo mondo di privazioni dei popoli. E ha pure fatto in modo che i media e parecchi cosiddetti intellettuali fossero dalla sua parte: un po’ marxisti, un po’ liberali, insomma tutti a idolatrare, per motivi diversi, quel fantastico mondo globalizzato, dove possiamo dare lavoro a tutti (sottopagandolo), merci a tutti (di bassa qualità e alti margini), e al diavolo questa mania "nazionalista" di salvaguardare le industrie del proprio paese, aboliamo i confini e viva la libera concorrenza (ma solo tra le multinazionali).
Ne parliamo con gli amici al Bar. Buona visione!

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