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La serie televisiva M, il figlio del secolo, tratta dall’omonimo libro di Antonio Scurati, è al centro di un acceso dibattito. Per descriverla in modo sintetico ma incisivo, potremmo dire che si tratta di una fiction priva di una vera dimensione storica, dominata invece da un moralismo vacuo e polemico, simile a quello dell’“anima bella” descritta da Hegel: un atteggiamento che si limita a condannare il passato senza sforzarsi di comprenderlo, come se la condanna fosse già proiettata sul presente. Da questa prospettiva, l’operazione ideologica sembra muoversi su due piani.
Da un lato, si rinuncia a comprendere – e comprendere non significa giustificare – un fenomeno complesso, articolato, ambivalente e contraddittorio come il fascismo. Come gli storici hanno da tempo evidenziato, il fascismo non si riduce alla figura di un singolo uomo “demoniaco”, ma va inquadrato come risultato di un complesso storico specifico, legato alle condizioni del tempo. Questa dimensione, tuttavia, è completamente assente nella serie, che raffigura il fascismo come una subdola invenzione personale di un individuo perfido e ossessionato dalla sete di potere. Una visione tanto banale quanto puerile, riflesso diretto di quella già poco strutturata del libro di Scurati, che riduce la storia a una fiction moralistica per anime belle, priva di autentico senso storico.
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