La musica commerciale

Sono cresciuto frequentando le jam underground di musica Hip Hop che negli anni ’90 si tenevano nei centri sociali, nel migliore dei casi in un parco o in casa di un amico talmente pazzo da metterla a disposizione. Nelle rare occasioni in cui il comune lasciava ai writers un muro da dipingere, attorno ne nasceva un party che vedeva uniti Dj, rappers, b-boyz e fly-girls. La voglia di esprimersi è il fulcro su cui fa leva la cultura Hip Hop.

C’era chi voleva solo ballare, chi produceva musica, chi pensava solo alle sue rime e non vedeva l’ora di poterle sputare in un mic, chi aspettava solo di poter spruzzare il suo ultimo sketch su un muro con le bombolette. Ogni forma artistica trovava la sua espressione in questa cultura perché la regola fondamentale alla base apriva le porte a tutti, soprattutto a chi nella società occupava i posti in fondo al bus.
“Non hai soldi? Nessuno ti dà credibilità? Ingegnati e crea con i pochi mezzi che hai tra le mani”.

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