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Sulla Stampa esce nei giorni scorsi un articolo in cui vengono equiparati Michela Murgia, recentemente scomparsa e Pierpaolo Pasolini. Con ciò la scrittrice sarda viene collocata nell’empireo dei grandi della letteratura, e proprio perché Michela Murgia considerata dall’ordine del discorso gimperante come un gigante della letteratura, affrontarne criticamente l’eredità e la prospettiva è lecito e doveroso, auspicando naturalmente che le considerazioni critiche vengano accolte come tali e non come semplice esternazione di odio e livore.
Per un verso Michela Murgia viene oggi, dal coro virtuoso degli intellettuali, innalzata gigante della letteratura universale e per un altro verso non sono ammesse riflessioni critiche intorno al suo pensiero e alla sua produzione, come invece sarebbe lecito fare se si trattasse di un gigante della letteratura. Le riflessioni critiche intorno a Michela Murgia vengono subito ostracizzate come manifestazione di odio e di invidia. Sicché pare che di Michela Murgia sia lecito ora parlare solo in termini elogiativi, eppure se, come ci dicono Michela Murgia era maestra della critica e del pensare contro e aveva anzi identificato nella negazione del pensiero critico uno dei tratti del fascismo, credo di non fare cosa sgradita alla sua memoria svolgendo ora alcune considerazioni critiche intorno alla sua produzione intellettuale. Sia chiaro, a giusta distanza dalla beatificazione acritica e dall’odio squallido.
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