I portuali di Genova scendono in piazza contro la guerra: storica reazione anche sui salari

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Vi sono talvolta, pur nel deserto generale che stiamo nostro malgrado attraversando, notizie positive, notizie che ci segnalano, nemmeno troppo obliquamente, che non tutto è perduto. Ebbene, cos’è accaduto nei giorni scorsi a #Genova? I lavoratori del porto sono scesi in piazza contro la guerra e in difesa dei salari. Binomio perfetto, mi permetto di dire. Binomio che ci rivela una volta di più come la classe lavoratrice sia incommensurabilmente al di sopra della politica, tanto di destra quanto di #sinistra. Politica sempre più palesemente distante dagli interessi delle classi lavoratrici e del #popolo. Prima fu la volta dei portuali di #Trieste. Ricorderete bene che scesero in piazza per opporsi alla discriminazione infame legata alla tessera verde e al nuovo Leviatano tecno sanitario. E adesso è la volta dei portuali di #Genova che scendono in piazza per dire no all’infame guerra della #Nato e per rivendicare la pace e le lotte per i salari. I lavoratori del porto di Genova, in particolare, hanno magnificamente centrato la questione fondamentale che peraltro mi permetto di notare ancora negli anni 70 era chiarissima nella parte principale di quella che un tempo era la sinistra rossa, falce e martello, che difendeva i diritti dei lavoratori e mirava a emancipare il lavoro dallo sfruttamento.

Quella sinistra nobile da distinguere attentamente dalla risibile sinistra fucsia dell’arcobaleno contemporanea, quella degli abitatori della ZTL, della business class e dei villeggianti di #Cortina d’Ampezzo, quella new left arcobaleno e neoliberale che ormai è semplice propaggine della classe dominante cosmopolita. Il dolce commercio, come lo chiamavano nel Settecento, non senza una buona dose di ottimismo, non produce affatto relazioni pacifiche. Al contrario, genera guerre planetarie, come stiamo ancora una volta sperimentando sulla nostra pelle. Si tratta di guerre planetarie che naturalmente vanno a nocumento soprattutto delle classi lavoratrici e dei ceti medi, ossia di coloro che, considerati indesiderati dai padroni del mondo, sono costretti poi ad andare al fronte per volontà dei padroni stessi e dei loro camerieri politici in livrea fucsia, se di sinistra o in livrea bluette o di destra, a seconda del contesto. La guerra imperialistica, lo sappiamo, non è altro che la lotta di classe trasposta sul piano dei rapporti tra #nazioni, ove nel caso specifico la nazione dominante coincide con il #Leviatano talassemico a stelle e strisce, quella potenza identificata con la civiltà dell’hamburger che dopo il 1989 sta provando ad assoggettare il mondo intero nel nome della globalizzazione neoliberale, a tal punto che potremmo anche ragionevolmente intendere la globalizzazione neoliberale come l’americanizzazione coatta del pianeta.

Per questo motivo la #globalizzazione potrebbe essere anche intesa come una sottomissione del mondo intero alla potenza del #dollaro. Le classi lavoratrici sanno benissimo che l’unica guerra che va fatta è la guerra di classe, del basso contro l’alto, del popolo degli abissi contro la plutocrazia neoliberale cinica e senza frontiere. Guerra che peraltro è già in atto. Guerra che viene condotta per ora unidirezionale dalla plutocrazia neoliberale che sta in alto. E ciò nella forma di un massacro di #classe a senso unico, a colpi di riforme che procedono sottraendo diritti nel nome della santa competitività senza frontiere e della liberalizzazione su scala planetaria. Ancora una volta, non mi stancherò di sottolinearlo, le #classi lavoratrici danno una grande lezione alla politica, a quella di destra, ma poi soprattutto a quella di #sinistra, che le classi lavoratrici ha già da tempo tradito per passare a difendere, proprio al fianco della #destra, il padronato cosmopolitico e le sue sciagurate guerre camuffate con la retorica dei diritti umani e della democrazia missilistica. Insomma, le classi lavoratrici hanno dato un’ottima lezione a Genova a tutti noi.

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