La strage silenziosa d’Armenia: se l’aggressore non è russo, l’Occidente si volta altrove

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Se l’aggressore si chiama #Azerbaigian e l’aggredito si chiama #Armenia, l’#Occidente tace. Per capire quello che sta accadendo la regione che ci interessa si chiama #NagornoKarabakh, un’enclave la cui popolazione è per il 95% armena.
Si proclamarono indipendenti dall’Azerbaijan nel 1991, anno al quale seguì una guerra tra i due paesi: il "cessate il fuoco" fu mediato dalla Russia di Putin e il Nagorno Karabakh rimase indipendente.

Una seconda guerra iniziò nel 2020. Furono nuovamente i russi a mediare il "cessate il fuoco", ma stavolta l’Azerbaigian guadagnò molti dei territori che aveva perso alcuni decenni prima.

La vera offensiva però arriva nel settembre 2023. La #Russia stavolta non interviene. Viene sancita la dissoluzione del Nagorno Karabakh.
Ora ci sono circa 120mila armeni che stanno lasciando le proprie case. In molti fuggono, moltissimi sono morti. Si dirigono verso l’Armenia.
E l’Occidente? Non pervenuto.
Quella retorica che ci ha accompagnato negli ultimi due anni (aggressori e aggrediti, diritto all’autodeterminazione dei popoli) è finita nel dimenticatoio.
Questo perché stavolta abbiamo un aggressore – l’Azerbaigian – filoturco e un aggredito – l’Armenia – ancora sotto influenza russa. Ma non è tutto, perché l’Azerbaijan è uno dei famosi fornitori energetici da quando l’#UnioneEuropea ha tranciato i fili con la Russia dopo lo scoppio della guerra in Ucraina.
L’Azerbaigian inoltre è strategico anche per la Russia come corridoio energetico per bypassare le sanzioni.

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